Immigrant songs |
“I nomadi tradizionalmente studiati dagli
etnologi possiedono il senso del luogo e del territorio, il senso del tempo e
del ritorno.”
Marc Augè
Qua si parla di flussi migratori, di quelli
dove ad ogni passo di terra conquistata si ricontratta la propria appartenenza
e si mette in gioco l’identità propria e dell’altro / altrove. Per poi
ripartire, di nuovo, nel flusso. E così ancora ed ancora. Immersi in correnti
sommerse che mano a mano diventano più familiari.
Cosa rimane di tutti questi spostamenti? Tutti
i chilometri e le contrattazioni, tutti i compromessi e le strade battute
rimangono registrate sul terreno, nelle parole e nei suoni di chi ha percorso
il cammino. Una costruzione lenta e personale che da spazio geografico diventa
spazio vissuto.
Questi spostamenti lasciano tracce
nell’accumulo e restituzione di gesti, forme, parole/suoni.
C’è stato un periodo eroico, non troppo tempo fa, nel quale si voleva riconfigurare il limite oltre l’atmosfera terrestre. Tutto quello che ci rimane è una foto di un puntino blu pallido scattata a qualche milione di km da qui. La nostra ultima migrazione. Un sogno collettivo a forma di un juke boxe dorato, ora oltre la nube di Oort. L’ultimo esploratore senza meta, per ora.
Golden plate |
Google Earth è un palliativo.
Nel mio lavoro c’è sempre una distinzione
forte tra l’utilizzo di un medium e l’effettiva esperienza attraverso di esso.
Io non lavoro col suono, io suono.
Io non viaggio, migro.
Quindi non ricordi di viaggi, ma il terreno
conquistato attraverso il viaggio, forse... un nuovo lessico nato nello spostamento.
Mi piace considerare le mie opere come
frammenti di una civiltà in viaggio, la mia storia personale come quella di un
popolo, assemblata attraverso le esperienze e gli incontri.
Coidanas romagnole |
Alessandra Casadei, Carlo Spiga.
2 commenti:
senza meta
longo è lo cammino
ma grande è la meta
vade retro satan
vade retro satan
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